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Quanto mi costa aprire un ristorante nuovo?”

fantozzi al ristorante

Perché oggi, se volessi improvvisarmi imprenditore, magari proprio nella ristorazione, basterebbe capitare su un sito qualunque (magari non proprio quello in questione, specializzato – e anche questa è una peculiarità non di poco conto – in vendite a imprenditori cinesi) per rendere un’idea, finora vaga, immediatamente più concreta.

 

Messe al bando le licenze, infatti, in tanti hanno pensato di avviarsi verso questa professione. Fingiamo allora che voglia farlo anche io.

Prima di tutto devo decidere se preferisco la città o la più tranquilla provincia romagnola. E questo, si sa, è un giudizio del tutto soggettivo, ma in entrambi i casi sarà bene cercare di posizionare l’attività in una zona centrale e ben servita anche se so bene che la migliore pubblicità sarà data dalla qualità del prodotto offerto, da sempre il primo grande criterio di differenziazione sul mercato.

Inoltre, a prescindere da quale sia la location scelta, non potrò fare a meno di strategie di comunicazione, ovviamente social. Ma a questo sarà meglio pensare ad attività avviata. Torniamo ora con i piedi per terra e ripartiamo dall’A-B-C.

Costruisco un nuovo locale o ne rilevo uno? La seconda opzione mi farà risparmiare sui tempi e molti casi anche sui costi perché, se saprò scegliere, troverò un locale già attrezzato, con cucina funzionante, canna fumaria attiva (a sentire un po’ di esperti del mestiere si scopre che questo è uno dei grattacapi più grossi) e la mia attività potrà partire con pochi intoppi. Ma se il vecchio proprietario oggi vende un motivo ci sarà. Meglio scoprirlo, chiedere una copia del regolamento condominiale, fare quattro chiacchiere in giro, verificare la presenza di attività concorrenti.

Qualunque sia il giudizio sulle liberalizzazioni a cui accennavamo in precedenza, infatti, è fondamentale tenerne conto per evitare di entrare nel settore con il piede sbagliato. Perché se i nuovi dispositivi, tra le altre cose, alleggeriscono l’imprenditore da un costo di entrata importante, ponendo tra l’altro un freno alla vendita illegale delle licenze, dall’altro bisogna fare i conti con l’inevitabile aumento di competitors.

 

Eliminata la vecchia separazione tra licenze A (tavola calda) e B (locali autorizzati a servire solo da bere), la differenza sostanziale tra bar e ristorante è venuta meno. Ecco dunque l’improvvisa crescita di osterie, trattorie e caffè/bistrot. Certo, fare a meno della licenza commerciale è, almeno da un punto di vista burocratico (e, appunto, economico) un bel passo avanti per chi si avvia a questa professione. 

Per aprire il mio ristorante, dovrò infatti presentare solo la SCIA al Comune. La Segnalazione Certificata di Inizio Attività altro non è che un modulo di autocertificazione ritirabile allo Sportello Unico per le Attività Produttive che andrà compilato in ogni sua parte. E qui viene il bello.

Perché, innanzitutto, dovrò dimostrare di avere “requisiti morali e professionali”, ovvero di aver lavorato in questo settore per almeno due anni negli ultimi cinque, di aver conseguito il diploma in una scuola che tratta materie specifiche (es. istituto alberghiero) oppure, nel mio caso, di aver frequentato un corso SAB (corso di somministrazione alimenti e bevande, costo n.2 dopo quello per l’acquisto/affitto della struttura: circa 600euro).Ancora, nella SCIA dovrò indicare la rispondenza del locale ai requisiti urbanistici richiesti, dunque l’indirizzo, la metratura, la necessità di sorveglianza esterna per motivi di sicurezza e ordine pubblico, la presenza di parcheggi (in alcuni casi obbligatoria e a una distanza prestabilita per legge) e la condizione acustica, qualora volessi diffondere musica anche solo via radio, certificata da un tecnico.

 

Capisco subito che ricorrere a un professionista, come un commercialista, per compilare il documento sarà, anche se non obbligatorio, per lo più inevitabile. Ed ecco dunque il costo numero 3, quello delle consulenze. 

Anche perché con la SCIA dovrò compilare il modulo della comunicazione unica d’impresa alla Camera di Commercio da cui dipenderanno l’apertura della partita IVA con la ragione sociale a noi più idonea, l’iscrizione all’Inps e quella all’Inail. Entro 30 giorni dal deposito della SCIA, arriverà il controllo dell’amministrazione che verificherà la correttezza delle informazioni fornite.

Per non sprecare tempo in attese controproducenti, proseguo con gli adempimenti burocratici: è la volta del piano HACCP, ovvero il vecchio libretto sanitario. Sarà importante che sia il proprietario che i dipendenti seguano un corso per imparare a preparare, manipolare e somministrare cibi e bevande.

Fatto ciò, bisognerà redigere il piano di autocontrollo. Potrò chiedere l’aiuto di una ditta di consulenza o provare a fare tutto da sola. I dati da indicare riguarderanno le caratteristiche del locale, la ragione sociale, l’indirizzo, il tipo di attività (es: enoteca con preparazione piatti freddi, oppure caffetteria con piatti caldi), il numero di dipendenti e le rispettive mansioni, chi sono i responsabili HACCP (chi riceve la merce, chi si occupa delle pulizie).

Passerò poi a verificare i requisiti strutturali e funzionali indispensabili per la mia attività: l’impianto idrico a norma, la possibilità di utilizzo della (famosa) canna fumaria, il trattamento dei rifiuti, l’utilizzo e il corretto deposito degli imballaggi e qualora riscontrassimo eventuali criticità, dovremo chiarire all’ASL come intendiamo risanarle.

 

Successivamente, le indicazioni fornite verranno sottoposte a verifica e, se tutto sarà in regola, otterremo l’Idoneità Sanitaria del locale che certificherà la salubrità del luogo, il rispetto per la metratura minima tra cucina e sale, la sicurezza della struttura ecc. 

A proposito di spazio tra sala, cucina e servizi, spesso si commette l’errore di limitare di molto l’area adibita alle toilette senza considerare che anche questa è una parte importante del locale e che la sua (cattiva) funzionalità potrebbe compromettere il giudizio del cliente nei nostri confronti. Un buon criterio da seguire potrebbe essere quello del 50%, ovvero non estendere la sala su più della metà dello spazio disponibile.

Arrivati a questo punto, il gioco è fatto. O quasi. Perché ora toccherà fare i conti, quelli veri, e scoprire: “Quanto costa aprire un ristorante nuovo?”

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