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Mi metto in proprio!!!

in proprio

 

10 cose che un giovane deve mettere in conto per aprire il suo ristorante

 Valutare cosa significa aprire un ristorante o un’attività commerciale nel settore della ristorazione per un giovane che abbia deciso di fare il grande passo e di mettersi in proprio.

Sarà utile soprattutto a chi è al termine del percorso scolastico o si accinge ad avviare una formazione sul campo per accrescere la propria professionalità ai fornelli.

1. Fatica

Quando ascolto giovani che vogliono rischiare su stessi e vogliono intraprendere la strada dell’imprenditorialità mi rallegro.

Ma poi dico di valutare le proprie forze e di pensare che il lavoro in un ristorante impegna più del 90% del proprio tempo a disposizione. E va portato avanti con costanza e dedizione.

Sia chiaro che se lo paragoniamo alla fatica usurante  di chi lavora su una piattaforma petrolifera, il livello è inferiore.

2. Stress

Per capire come stress e fatica si cumulano basta spiegare una giornata tipo.

•Sveglia alle 8:00, mi preparo e e alle 8:45 sono operativo.

•Alle 9 arrivano i ragazzi della brigata e impartisco gli ordini. Se c’è bisogno della mia presenza mi fermo in cucina. Altrimenti via a fare acquisti e commissioni.

•Rientro sempre prima delle 12:00.  Non voglio mancare il servizio al ristorante. Verifico quanto è stato fatto e continuo a cucinare con la brigata. Sono come un direttore d’orchestra.

•Stacco dalla cucina alle 15:30. Se c’è tempo, stacco un paio d’ore altrimenti continuo fino alle 17.00 tra telefonate, organizzazione menu, eventi o appuntamenti.

•Alle 17:30 mi prendo una mezz’ora di pausa.

•Rientro in cucina alle 18:00. Resto fino a quando si chiude. I ragazzi restano fino alle 23 – 24. Io resto con i clienti a fare due chiacchiere.

•All’una di notte vado a dormire.

Ora che sai come si svolge una giornata, guarda alla settimana.

Ho un giorno e mezzo di pausa dove faccio tutte le cose che sono rimaste indietro.

Stress è riquadrare il personale se un componente della squadra va via perché vuole, giustamente, fare altre esperienze. Stress è far quadrare i conti perché alla fine noi siamo commercianti che devono sostenere l’azienda.

La strada è soddisfare il cliente, mantenere l’equilibrio in cucina e in sala, lavorare in un ambiente piacevole, guadagnare e far guadagnare i nostri collaboratori.

3. Stipendi

Uno chef esiste perché esiste una brigata, un team.

Che ha aspettative e costi. Dipende dalla faccia della medaglia che si guarda.

Un lavapiatti lavora 40 ore a settimana più straordinari con uno stipendio da contratto sindacale nazionale che è alla base.

I livelli sono 5, da lavapiatti a aiuto cuoco, aiuto cameriere, capo partita fino al primo livello. Cioè responsabile.

Tra un livello e l’altro non ci sono grandi differenze di stipendio.

Per una media di 8 ore al giorno suddivisi per 5 giorni a settimana siamo intorno ai 1.200 euro netti più la contribuzione. Quindi, 1.800 € per 14 mensilità.

4. Burocrazia

Commercialista per la parte fiscale e associazioni di commercianti e artigiani per convivere con le richieste degli enti pubblici, Asl in testa.

Iscriversi a un’associazione e pagare una quota annuale è la cosa migliore da fare per chi non ha esperienza.

5. Comunicazione

Aprire un nuovo ristorante significa concentrarsi molto sulla propria attività.

Ma occorre avere visibilità e non sempre affidarsi a un’agenzia di comunicazione è la scelta migliore soprattutto se i costi sono troppo alti.

Potrebbe essere una buona idea cercare di mettersi in contatto con associazioni come i JRE di cui faccio parte. C’è una selezione da superare, ma hai la possibilità di partecipare a eventi interessanti sia dal punto di vista economico che mediatico.

6. Fornitori

La prima domanda da porsi riguarda i piatti che si vogliono proporre e i prezzi di vendita.

Soddisfatte queste domande, si parte alla ricerca dei fornitori. Io non ho ossessioni da km 0, ma resto in Italia.

Il mio consiglio è dedicare tempo alla ricerca.

7. Food cost e tasse

L’esperienza ti sarebbe davvero utile. In mancanza, occorre tenere presente che il dato che influenza in maniera minore il food cost è la materia prima. Tasse e costo del personale incidono molto di più.

Facciamo un esempio con una una zuppa:prendo il costo della zucca e degli altri ingredienti al chilogrammo, calcolo gli ingredienti per 5 persone e divido per 5. Ipotizziamo che questa zuppa mi costa 1 euro  a persona. Aggiungo gli altri costi: il fuoco dal 20% al 40%, uso cucina gas, personale circa 40%, costi fissi e variabili come affitto, tassa rifiuti  tassettine varie che pesano per un altro 30%. In un balzo arriviamo al 110% che significa 5 euro netti a piatto.

Ricarico per il 100% , non è il momento di alzare di più, e rivendo a 10 euro.

8. Conservazione

Devi cercare di buttare via meno cibo possibile. Un abbattitore è un attrezzo indispensabile e bisogna investire su macchine che diano la possibilità di conservare in modo eccellente.

Con l’abbattitore puoi preparare, ad esempio, un impasto e cuocerlo al momento conservando tutte le proprietà organolettiche.

Io credo che il futuro del ristorante gourmet sia tecnologico.

9. Pagamenti

La regola è semplice. Meglio non intraprendere un’attività commerciale chiedendo soldi a una banca, anche perché non li prestano se non fornisci eccellenti garanzie.

Personalmente ho cercato di calcolare tempi di pochi mesi per pagare un lavoro di manutenzione, di ristrutturazione o una fornitura di un elettrodomestico.

10. Aggiornamento 

Aggiornarsi significa evitare di rimanere chiusi nella torre d’avorio della propria cucina e guardarsi sempre intorno perché siamo in una fase di grandi cambiamenti.

Il momento è terribile ma ci sono realtà nel settore della ristorazione che lavorano benissimo perché hanno guardato il mondo con occhi più curiosi e con umiltà.

Dieci suggerimenti da tenere a mente prima di spiccare il salto nel “mi metto in proprio”.

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