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L’abuso delle false Partite Iva

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Il 2015 coincide con una misura estremamente importante introdotta, a suo tempo dall’ex Ministro del Lavoro, Elsa Fornero: ossia la lotta contro l’abuso delle false Partite Iva. La disciplina, contenuta nell’art. 1, c. 26 della L. n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), è volta a circoscrivere l’utilizzo delle c.d. Partite IVA attraverso un meccanismo presuntivodi un diverso rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto a fronte di specifiche condizioni.

L’intervento, in particolare, nasce dall’esigenza di contrastare fenomeni distorsivi che nascondono, con lo strumento della Partita IVA, prestazioni inquadrabili nell’ambito della co.co.pro. o, addirittura, nell’ambito del lavoro subordinato.

Scopo della suddetta norma è quello di evidenziare alcuni elementi che sottolineano la presenza, nel concreto, di una “mono-committenza”, rispetto alla quale è verosimile (trattasi infatti di una presunzione “semplice”) un incarico di lavoro autonomo puramente occasionale.

Tali misure, ora, potranno essere messe finalmente in pratica dal personale ispettivo. Infatti, il 31 dicembre 2014 sono scaduti già due anni solari pieni e consecutivi (2013-2014) utili per consentire all’Ispettorato del lavoro di procedere alla verifica della genuinità o meno del rapporto lavorativo autonomo intrapreso in regime di mono-committenza.

Quindi, i datori di lavoro dovranno prestare la massima attenzione a non cadere nei parametri individuati dalla legge, poiché qualora ciò accadesse, questi ultimi dovranno obbligatoriamente assumere questa tipologia di soggetti mediante un contratto di co.co.co., alla base del quale deve esserci uno specifico progetto affinché possa essere legittimo, salvo prova contraria fornita dal committente.

La Falsa Partita Iva

Prima di entrare nel dettaglio delle misure introdotte dalla normativa, appare opportuno capire che cosa s’intende realmente per falsa Partita IVA. In particolare, si tratta di Partite IVA aperte dai lavoratori senza una reale esigenza; ovviamente, non sono certo questi ultimi che decidono di aprire una Partita IVA, considerando anche tutto quello che ne consegue in materia di tasse e contributi, ma sono i datori di lavoro che spingono nella maggior parte dei casi i giovani ad aprire una Partita IVA per poter lavorare.

Si tratta quindi, di tutti quei lavoratori autonomi che purtroppo non riescono ad affermarsi come tali nel mondo del lavoro e finiscono spesso ad essere impiegati da aziende che li utilizzano sì come lavoratori autonomi, ma in una condizione di lavoro effettiva che ha tutte le caratteristiche tipiche del rapporto di lavoro dipendente.

Il motivo per il quale le aziende fanno sempre più ricorso a tali lavoratori è molto semplice, vale a dire l’eccessivo costo del lavoro. Come ben sappiamo, un’azienda per assumere un lavoratore sostiene dei costi molto alti, e quale miglior modo ad evitarli se non impiegare lavoratori autonomi?

Al giorno d’oggi, infatti, sono molti i datori di lavoro che inducono i propri dipendenti ad ricorrere all’apertura della Partita IVA (appunto “falsa”),al sol fine di evitare d’ingabbiarsi in contratti di lavoro che risultano ovviamente più onerosi e scomodi.

Infatti, il lavoratore risulta l’unica parte lesa nel rapporto lavorativo in quanto, non gode né di tutele assistenziali né contributive che normalmente spettano ai dipendenti; l’unico diritto che conserva il lavoratore è l’addebito su fattura di una piccola percentuale del 4% a titolo di rivalsa.

Si tratta di rapporti di lavoro molto difficili da scovare, poiché si tratta di attività nascoste spesso nei meandri delle organizzazioni di lavoro delle imprese. A ciò si aggiunge anche il fatto che i lavoratori spesso evitano di denunciare tali situazioni per paura di perdere l’attività professionale con l’impresa. Ed è proprio in questo contesto che s’inserisce la lotta contro l’abuso delle Partite Iva, ad opera dell’ex Ministro del Lavoro Elsa Fornero.

I SOGGETTI INTERESSATI

Il sistema presuntivo della Riforma Fornero è circoscritto ai lavoratori autonomi, titolari di Partita IVA, che operano in regime di mono-committenza, cioè a coloro che concentrano la maggior parte del proprio fatturato verso un unico committente.

In particolare, si tratta dei lavoratori autonomi titolari di partita IVA che, ai sensi dell’art. 2222 del C.c., si obbligano “a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”.

Sul punto, è utile ricordare che lo strumento della Partita IVA non è precluso ai soggetti che, sotto il profilo lavoristico, vedono inquadrate le proprie prestazioni nello specifico ambito della collaborazione coordinata e continuativa.

GLI INDICI PRESUNTIVI

Per evitare che i datori di lavoro inducano i propri collaboratori all’apertura di una Partita IVA, la Riforma del Lavoro (L. n. 92/2012) ha introdotto tre parametri che sono utiliper comprendere quando scatta la presunzione di falsità, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente.

In particolare la presunzione si realizza qualora ricorrano almeno due delle seguenti condizioni: 1) durata della collaborazione; 2) fatturato; 3) postazione fissa di lavoro.  Al riguardo, è utile ricordare che si tratta comunque di una presunzione relativa perché il committente può comunque fornire prova dell’effettiva autonomia del lavoratore munito di Partita IVA.

La durata della Collaborazione. Affinché si verifichi tale presupposto è necessario che la collaborazione sia almeno pari a 8 mesi annui (ossia 241 giorni, anche non continuativi),nell’arco di due anni consecutivi

Sul punto, è bene tenere presente che:

  • ai fini dell’accertamento, i periodi di attività dovranno essere desumibili da elementi documentali. In tal caso assume rilievo qualsiasi documento in grado di fornire informazioni, anche indirette, sulla durata dell’attività svolta (ad esempio lettere di incarico o fatture in cui è indicato l’arco temporale di riferimento della prestazione professionale). Resta in ogni caso ferma la possibilità di determinare la durata dell’incarico anche sulla base di elementi di carattere testimoniale assunti, in sede di verifica ispettiva, da altri lavoratori o di terzi;
  • il periodo in questione deve individuarsi nell’ambito di ciascun anno civile (1° gennaio – 31 dicembre).

Tale presupposto, come specificato dalla Circolare Ministeriale n. 32/2012 del Ministero del Lavoro, potrà realizzarsi solo a decorrere dai periodi 1° gennaio – 31 dicembre” degli anni 2013 e 2014.

Il fatturato. Il secondo indice introdotto riguarda il corrispettivo derivante dalla collaborazione. Affinché possa realizzarsi il parametro legato al fatturato è necessario che esso costituisca almeno l’80% di quanto ricavato nell’arco di 2 anni solari consecutivi.

In particolare, il reddito del lavoratore sarà formato dai soli corrispettivi derivanti da prestazioni autonome, escludendo di conseguenza eventuali somme percepite in forza di prestazioni di lavoro subordinato o di lavoro accessorio o di redditi di altra natura.

Inoltre, bisogna calcolare i corrispettivi comunque “fatturati”, indipendentemente da un effettivo incasso delle somme pattuite. Quanto all’arco temporale, che è pari a due anni “solari” consecutivi, si chiarisce che si fa riferimento a due periodi di 365 giorni che non necessariamente devono coincidere con l’anno civile.

Facciamo un esempio. Se un collaboratore che alla data del 16 maggio 2016 intende far valere il requisito del fatturato, dovrà dimostrare che per ciascuno dei periodi “31 marzo 2015-30 marzo 2016” e “31 marzo 2014-30 marzo 2015” ha percepito, in forza della medesima collaborazione, l’80% del totale dei corrispettivi percepiti in ciascuno dei due archi temporali.

Altro punto interessante riguarda il rientro nel computo del fatturato dei compensi dovuti da più soggetti comunque “riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi”. Al riguardo, si richiama la Cassazione, Sezione Lavoro, 9 dicembre 2009, n. 25763 secondo cui “il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare (…) un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro”.

La Postazione Fissa. Per quanto concerne l’ultimo indice, che richiede la postazione “fissa” presso il committente, essa non deve necessariamente essere di suo uso esclusivo. Tale condizione si verifica quando, negli archi temporali utili alla realizzazione di una delle altre condizioni indicate, il collaboratore possa usufruire di una postazione ubicata in locali in disponibilità del committente, indipendentemente dalla possibilità di utilizzare qualunque attrezzatura necessaria allo svolgimento dell’attività. Per esempio negli studi si dovrà dimostrare di avere una vera e propria scrivania).

A differenza dei due presupposti appena illustrati, quest’ultimo non è legato da alcun termine e può essere verificato da subito anche se da solo non potrà mai far scattare alcuna presunzione di legge.

LA VERIFICA DI PRESUNZIONE

Veniamo ora all’operatività vera e propria di presunzione, ossia al momento a partire dal quale gli ispettori potranno verificare la genuinità o meno della Partita IVA. Per individuare tale periodo bisogna tener conto di due fattori:

  • la combinazione dei tre indici in precedenza illustrati;
  • e la data di apertura della Partita IVA.

Quindi, per le nuove Partite IVA aperte dal 18 luglio 2012 l’attività di verifica può essere fatta valere a decorrere dal 1° gennaio 2015, qualora si verifichino i presupposti:

  • della durata della collaborazione e postazione fissa di lavoro;
  • oppure della durata della collaborazione e fatturato.

Differente è il discorso per le vecchie Partite IVA, ossia quelle aperte prima del 18 luglio 2012. Per quest’ultime, l’attività di verifica partirànon prima del 18 luglio 2015, qualora si verifichino i requisiti della postazione fissa di lavoro e fatturato.

Se, invece, si constata la durata della collaborazione e postazione fissa di lavoro oppure la durata della collaborazione e fatturato la verifica potrà partire dal 1° gennaio 2016.

CONSEGUENZE ED EFFETTI SULLA PRESUNZIONE

Nel caso in cui siano soddisfatti almeno due dei presupposti su illustrati, il datore dovrà obbligatoriamente assumere il proprio dipendente mediante un contratto di co.co.co., alla base del quale deve esserci uno specifico progettoaffinché possa essere legittimo, salvo prova contraria fornita dal committente. Tuttavia, diverse sono le conseguenze a seconda che il progetto sia stato legittimamente presentato o meno.

In particolare, in caso di validità del progetto si darà vita a una tipologia di contratto atipica, finora sconosciuta dalla legislazione italiana, vale a dire “co.co.pro. con Partita IVA” (il contratto di collaborazione a progetto con Partita iva)

Qualora invece il datore ometta il progetto, il rapporto sarà considerato di tipo subordinato (co.co.co.) a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (prima fattura).

Infine, indipendentemente dal fatto che vi sia la presenza o meno di un progetto, se l’attività è svolta con modalità analoghe a quella esercitata dai lavoratori dipendenti, la co.co.co. sarà comunque convertita in un rapporto dipendente a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (prima-fattura).

I SOGGETTI ESCLUSI

Tuttavia, esistono delle scappatoie per sfuggire ai tre indici presuntivi introdotti dalla Legge Fornero, al verificarsi delle quali la disciplina fin qui illustrata non opera, ossia:

  • qualora siano riconosciute capacità teoriche pratiche di grado elevato;
  • e quando il titolare della Partita IVA possa dimostrare un fatturato annuo non inferiore a 1,25 volte il minimo imponibile previsto per i contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali, che per l’anno 2015 è pari a € 19.435.

Attenzione. Affinché operi l’esclusione è necessario che si verificano entrambe le condizioni.

Un approfondimento a sé merita il primo requisito riguardante il “grado elevato” delle competenze e le “rilevanti esperienze” che conferiscono professionalità al collaboratore. Tali requisiti, in particolare, possano essere comprovati attraverso:

 

  • il possesso di un titolo rilasciato al termine del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione (sistema dei licei e sistema dell’istruzione e formazione professionale);
  • il possesso di un titolo di studio universitario (laurea, dottorato di ricerca, master post laurea);
  • il possesso di qualifiche e diplomi conseguiti al termine di una qualsiasi tipologia di apprendistato (apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere; apprendistato di alta formazione e ricerca);
  • il possesso di una qualifica o specializzazione attribuita da un datore di lavoro in forza di in rapporto di lavoro subordinato e in applicazione del contratto collettivo di riferimento. In quest’ultimo caso si ritiene tuttavia che solo una qualifica o una specializzazione posseduta da almeno 10 anni possa garantire capacità tecnico-pratiche derivanti da “rilevanti esperienze”;
  • lo svolgimento dell’attività autonoma in questione, in via esclusiva o prevalente sotto il profilo reddituale, da almeno 10 anni.

In ogni caso, per poter essere considerati utili ai fini della esclusione dal campo applicativo dell’art. 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, i certificati, i diplomi o i titoli devono evidentemente essere pertinenti alla attività svolta dal collaboratore.

Oltre ai suddetti casi, esiste una terza ipotesi di esclusione: stiamo parlando delle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali che prevedono un’iscrizione in apposito registro, albo, elenco o ruolo.

In tal caso, le attività escluse sono elencate nel Dm 20 dicembre 2012 che individua sostanzialmente tre categorie di esclusione dalla presunzione di co.co.pro, ossia:

  • i professionisti iscritti a un ordine, collegio, registri, albi, ruoli o elenchi professionali: in questo caso deve essere un organismo tenuto o controllato da una Amministrazione Pubblica e per l’iscrizione deve essere previsto un esame di Stato o una valutazione di titoli;
  • le federazioni sportive: anche in questo caso è necessario che sia tenuto o controllato dalla P.A. con iscrizione subordinata al superamento di un esame di Stato o a una valutazione dei titoli;
  • le imprese iscritte alla Camera di Commercio: purché l’iscrizione non sia solo ai fini di pubblicità dichiarativa. Questo significa che sono esclusi gli artigiani e commercianti che sono sottoposti a un regime di iscrizione oggetto di valutazione

 

 

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