Un tempo il mestiere del cuoco veniva percepito per ciò che realmente era: duro, sfiancante e la tradizione in cucina si tramandava attraverso le mamme. Poi si sono imbucati i maschi. Hanno infighettato la faccenda con tanti guizzi creativi ed elevato un mestiere artigiano a star system, così da legittimare la propria corsa per occupare palcoscenici e sale da trucco prima della messa in scena di quello che è diventato uno show a tutti gli effetti. La presenza maschile alla guida delle cucine dei ristoranti – e di conseguenza in TV – è cresciuta esponenzialmente mentre il numero delle cuoche in prima linea resta contenuto.Per forza: la cuoca cucina, lo chef comanda. Ambire la gloria di chef è un fenomeno sociologico conclamato, diffuso e si porta dietro tutto il corollario di food porn, cooking maniac, fetish food, gastrofighetti, gastropazzoidi e via dicendo.Inoltre lo chef rimorchia di brutto, le donnine si inchiodano davanti allo schermo e vanno in brodo di giuggiole per uno che mortifica i concorrenti e lancia padelle roventi come frisbee ai giardinetti. Leggenda vuole – e qualche spifferata alla sottoscritta conferma – che molti chef blasonati abbiano un carattere rude e comportamenti offensivi e fisicamente violenti nei confronti della cosiddetta brigata; termine usato, non a caso, per unità appartenenti all’esercito. Diciamo che ha più a che fare con l’offensiva che con lo scambio di confetti.
contribuito al lancio di molte figure mediaticamente sovraesposte, è partita coi primi sbadigli. Daniele Cernilli ( Doctor Wine, ex direttore del Gambero Rosso) sbotta e definisce guitti i cuochi in TV che lasciano ristoranti costosissimi in mano agli aiutanti – che, per inciso, guadagnano due spicci – per dare poi l’illusione al pubblico che diventare grandi chef o lavorare in locali importanti e stellati sia una cosa positiva. Salvo poi finire a pubblicizzare patatine fritte e dadi da brodo – tutta roba che non entra nelle loro cucine – alla faccia del chilometro zero e della qualità delle materie prime.
E la cucina gestita con la violenza degna di un penitenziario, continua Cernilli, è davvero qualcosa di accettabile? In rete se ne parla e iniziano ad essere numerosi gli sbadigli.
Fra i primi gridi di disperazione ricordiamo quello di Valerio M. Visintin, il critico mascherato del Corriere, nella sua brillante e ironica pubblicazione “Osti sull’orlo di una crisi di nervi”.Anche Piero Pompili, restaurant manager del ristorante Al Cambio di Bologna e noto food blogger (Muccapazza) su Repubblica Sapori spara a zero: “stress, paghe basse…la vita del cuoco non è quella che vedete in TV”.
2. LETTERA APERTA DI UN RISTORATORE
Piero Pompili per repubblica.it/sapori
Lavorare nel mondo della ristorazione visto da fuori può sembrare bellissimo, stimolante, ricco di soddisfazioni, tant’è che complice la televisione e la mediaticità dei cuochi, oggi tutti i giovani vogliono fare lo chef, convinti che entreranno in un mondo bellissimo, fatto di poco lavoro, tanta televisione, fama e parecchi soldi.
Niente di tutto ciò ovviamente è vero. O meglio, avrete più probabilità di essere colpiti da un asteroide che diventare quei 10 – 20 (ma facciamo anche 30) cuochi che ce la faranno.
La verità è che lavorare in un ristorante è una bella porcheria. E non si sa perché nessuno ha il coraggio di dirvelo.
Prima di tutto, scordati di lavorare poco.
In un ristorante si fanno due servizi spezzati e per quel poco che puoi lavorare stai in bottega almeno 10 ore, lavorando pranzo e cena hai una piccola pausa nel pomeriggio che se ti va bene ti permette di stare seduto 2 ore, altrimenti esci e porti fuori il cane.
In pratica la tua giornata lavorativa è la tua giornata, lavori e basta. In pratica vivi per il lavoro. Sai a che ora inizi ma non saprai mai a che ora uscirai da una cucina.
Non pensare minimamente di poterti ammalare, il 90% dei ristoranti ha un personale ridotto all’osso e la tua partita non è sostituibile e metteresti in difficoltà la piccola azienda in cui lavori. Per cui quando stai male, di base, oltre a fare il tuo lavoro, incrementi anche le casse dei farmacisti visto che oltre a dell’ottimo cibo hai servito ai clienti anche i tuoi bacilli.
Un dipendente normale ha diritto 4 settimane di ferie, di cui 2 le sceglie il dipendente (con il benestare del datore di lavoro) e le altre due il datore di lavoro.
Bene, scordati pure di andare in ferie quando ti pare (ovvero in bassa stagione), in ferie ci vai quando il ristorante chiude e la chiusura del ristorante coincide sempre con il periodo in cui il ristorante lavora meno, per cui dimentica pure di progettare le tue ferie e visto che ci sei, dimentica pure di usufruire dei permessi retribuiti di cui hai diritto, devi venire al lavoro quando stai male, dove cavolo vuoi andare quando stai bene?
Lo stress.
Siete abituati a vedere cuochi e cucine sempre sorridenti ma niente di tutto questo è vero. Stare in una cucina è un po come stare in una sala operatoria però con più rotture di scatole.Sai, ti muore il paziente puoi sempre dire ai familiari: “Abbiamo fatto di tutto per salvarlo”. E loro, di base, ci credono e la cosa finisce lì. Ecco, per un cuoco invece non è così perché oltre ad aver fatto di tutto per salvare quel piatto, ciò non toglierà l’ira funesta degli utenti di TripAdvisor nel recensirti, o dei giornalisti gastronomici che hanno in mano la tua sorte gastronomica e a volte, anche la tua tritticante carriera…
La retribuzione.
Molti sono convinti che un cuoco guadagni dai 4.000 euro in su. La verità è che se riesce a portartene a casa la meta è già un bel successo e puoi considerarti fortunato, ovviamente non tutti in busta, perché poi all’azienda costeresti troppo e non sarebbe in grado di poter sostenere quella spesa di personale.
Tutti gli altri schiavi della cucina forse arriveranno a guadagnare tra i 1.200 e 1700 euro. E considerando i sacrifici che bisogna affrontare per fare questo duro mestiere, è una bella schifezza di stipendio. Ma state tranquilli, passando tutto il tempo nel ristorante anche se doveste guadagnare di più non avreste il tempo di poterli spenderli…
Detto questo, potrei andare avanti per ore a trovare difetti e ombre di questo dorato quanto magico mondo della cucina che tanto sognate.Ma mi piace farvi sognare ancora un po’ così quando vi ritroverò di belle speranze, in stage, seduti a pranzo affianco a me e vi chiederò cosa vi ha spinto a fare la scuola alberghiera e mi racconterete le vostre speranze e ambizioni, la mia risposta senza neanche guardarvi in faccia sarà sempre la stessa: “Il mondo della cucina di certo non aspettava che te… Hai 18anni, una vita davanti e se solo lo volessi, centinaia di magliette di Zara da piegare ma se proprio insisti a star in questo mondo, benvenuto nell’inferno”.
3. STELLE SCADENTI
Da www.doctorwine.it
Non so perché, ma da un po’ di tempo la grande ristorazione, quella degli chef stellati e stellari, mi annoia sempre di più. Sarà l’età, ma tendo a perdere la pazienza quando vedo dei cuochi fare più i guitti in televisione che i professionisti, abbandonando le loro cucine agli aiutanti, per un senso di protagonismo che darà pure successo mediatico ma che crea, almeno in me, molte perplessità.La prima. Ma possibile che nessuno dica che i ristoranti di molti di costoro sono costosissimi? Facciamo pelo e contropelo su tante cose, ma che da Cracco o da Bottura per cenare ci vogliono, vino compreso, anche più di 300 euro a persona non lo dice nessuno. Come non dice nessuno che la clientela di questi locali da tre e da due stelle è formata molto spesso da persone che vanno lì per status symbol e non perché apprezzino sul serio la loro cucina. Non voglio fare un discorso populista, ma ricordo che molti famosissimi ristoranti di New York, all’ora di pranzo, offrono dei menu ridotti a poco più di 20 dollari, e comunque è possibile assaggiare anche solo un piatto a un costo più che ragionevole.La seconda. Ma siamo sicuri che dare a un sacco di giovani l’illusione di poter diventare grandi chef o anche solo di poter lavorare in grandi locali sia una cosa positiva? Qual è l’effettivo giro d’affari dei locali “top” in Italia? Che reale possibilità di creare posti di lavoro c’è davvero?In tanti anni che giro ho visto per lo più sale semivuote, tranne che in ristoranti con collocazioni particolarmente felici, in grandi città o in località turistiche. Forse è anche per questo che molti chef si danno alla televisione o si mettono a pubblicizzare acque minerali, patatine fritte e dadi da brodo. Tutte mercanzie che non troverete mai nelle loro cucine ma che vanno bene per sbarcare il lunario, alla faccia della qualità delle materie prime, del chilometro zero e di tutte queste belle cose.La terza. Dare lo spettacolo di una cucina gestita con una violenza degna di un penitenziario di massima sorveglianza o di una caserma punitiva è davvero qualcosa di accettabile? Farà anche spettacolo, ma non mi sembra un esempio da seguire in modo acritico, e non mi pare che da parte della stampa si sia scritta anche solo mezza riga su questo o che qualche sindacato sia intervenuto.Non tutti gli chef di valore sono così, ovviamente. Quelli che vivono la loro cucina con impegno, senza fare i fenomeni, ma solo bene il loro lavoro non fanno parte del ritratto che ho provato a realizzare. Soprattutto rispetto coloro che creano intorno al loro ristorante una vera economia locale, acquistando prodotti dai contadini o dagli allevatori del posto, assumendo personale del posto, facendo arrivare in luoghi isolati molta gente che ci va solo per la loro presenza. Penso a ristoranti come Caino di Valeria Piccini a Montemerano o il Reale di Niko Romito a Roccaraso o Le Colline Ciociare di Salvatore Tassa ad Acuto, tanto per fare esempi con nomi e cognomi. Molti però stanno esagerando e mi piacerebbe che si facessero un bell’esame di coscienza. Così come tutta quella sedicente critica gastronomica, in massima parte improvvisata, che non fa altro che esaltarli.