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fake chef

 

Per certi versi è la domanda che ci facciamo anche noi, editori e comunicatori del vino e del cibo: come fare a ricavarsi il proprio spazio nel mondo delle videoricette visto che questo mondo è a dir poco affollato e pieno di contendenti che hanno molti più mezzi di te, molti più soldi di te, set migliori dei tuoi e attrezzature costosissime che non ti puoi permettere? E come riuscire a ottenere visibilità sui motori di ricerca o sui social media proponendo l’ennesima ricetta della carbonara in mezzo a mille altre ricette di carbonara tutte impeccabili, firmate, accattivanti? Come essere migliori degli altri? Come essere più belli e smart? La persona o il gruppo di persone che sta dietro all’operazione ChefRuffi deve essersi posto la stessa domanda e la risposta è stata spiazzante: facciamo ricette brutte, sgradevoli, sgraziate, odiose e sbagliate. E il “successo” sarà assicurato. La storia dice che è andata proprio così…

 

Chef Ruffi

Chef Ruffi è il caso gastronomico italiano (se così vogliamo dire) dell’estate. Non sappiamo da dove viene, non sappiamo quanto durerà, sappiamo solo che oggi Ruffi è l’unico “chef” sui social media a generare più coinvolgimento e interazioni di Massimo Bottura o di René Redzepi. Gli ingredienti sono semplici (e tutti di scadente qualità) e il risultato è univoco in ognuna delle videoricette fino ad oggi pubblicate sul profilo Facebook: zozzerie irraccontabili, probabilmente velenose e tossiche. Sicuramente illegali.

Il set

Il set è sempre lo stesso: siamo in una cucina di un ristorante. Questo è abbastanza incontrovertibile. Siamo probabilmente nel Regno Unito o in Irlanda. Gli attori immancabili di questa tragicommedia aiutano a generare riconoscibilità e family feeling: i guanti azzurri di lattice da lavapiatti (a simboleggiare il like di Facebook nel linguaggio in codice ruffiano?), il dialetto (probabilmente campano) da emigrante anni Cinquanta di un uomo che parrebbe in realtà molto giovane ma che non si vede mai in volto, attrezzatura sciatta o improbabile, ingredienti da film dell’orrore, uno stile di ripresa volutamente raffazzonato, con lo smart phone tenuto dritto, niente montaggio, niente cura delle luci. Questo è quanto. E poi giù a bestemmiare i capisaldi della grande cucina tradizionale del dopoguerra, che dopo la macchina e la mamma per gli italiani non c’è nulla di più sacro e intoccabile: carbonara, arancino, ragù, cacio e pepe, tiramisù…

Le ricette

Ruffi prende le ricette che consideriamo parte del nostro dna e le rifà a modo suo. Ovvero male. Infarcendole non meramente di errori, ma di squallide scorciatoie da cuoco sfigato e privo di etica. Una volta in una maniera, una volta in un’altra, ma sempre atrocemente, da mettersi le mani nei capelli. Da indignarsi. Ecco, appunto: indignarsi. Gli autori di questo format (ammesso che un format sia) dimostrano di conoscere molto bene le leve che muovono le grandi ondate di folla sui social, la prima è senza dubbio l’indignazione e Ruffi ne genera a pacchi. La seconda sfida, lo dicevamo prima, è quella della riconoscibilità. Beh ci si può credere o no (leggendo le centinaia di commenti ai video se ne avrà conferma), ma Ruffi è riuscito a creare degli autentici tormentoni (la panna, aggiunta a tutte le preparazioni, è sempre “versatile“; il cibo è importante che a un certo punto venga “malgamato” e i clienti “non si sono mai lamentati“) ripetuti da ipnotizzati fan adoranti e da migliaia di detrattori intenti a maledire o a dare di stomaco.

 

Un fenomeno da grandi numeri

E così Chef Ruffi, piaccia o no, ha creato nel giro di pochissimi giorni un personaggio con tanto di fan club ufficiale da centinaia di iscritti. Perché la risposta più immediata a chi ti sta prendendo in giro è prenderlo in giro a tua volta e stare al suo gioco. I numeri parlano chiarissimo: di gente disposta a mettere Mi Piace sulla sua pagina per ora ne ha trovata relativamente poca (comunque 12mila persone), ma i suoi video, di nascosto, li guardano tutti: indignati, divertiti, schifati, in cerca di un attimo di sub normalità tra tante ricette irreprensibili. 200mila persone hanno guardato la videoricetta sul risotto ai funghi (Facebook non rilascia il dato su quanti tra questi abbiano vomitato di fronte allo schermo), cacio e pepe e tiramisù stanno già sopra le 300mila mentre le cose si fanno assai più serie con la micidiale ricetta della carbonara che per il momento ha totalizzato non solo un milione e 300mila visite, ma qualcosa come 14mila commenti i più affettuosi dei quali vorrebbero vedere lo “chef” marcire in galera per il resto dei suoi giorni, convinti che neppure lì nessun ergastolano apprezzerebbe un rancio così riprovevole. Una sorta di Master Chef al contrario che però ha uno svolgimento narrativo coinvolgente, a tratti empatico e volto a generare curiosità (della serie: vediamo come ha storpiato quest’altra ricetta) e sottilmente anche immedesimazione. Si immedesima il “pubblico da casa” che magari anche una sola volta nella vita una schifezza “alla Ruffi” l’ha fatta eccome, si immedesima certa ristorazione “italiana” all’estero (e non solo, ahinoi) che ancora si barcamena tra panna, glutammato, pasta precotta e ragù al ketchup. Insomma, forzando un po’, siamo alla Fenomelogia di Mike Bongiorno (Umberto Eco, 1961) applicata alla bulimia pervasiva del cibo in tv e sui media dove tutti si atteggiano a grandi chef e grandi esperti con la puzza sotto al naso in un’esasperazione h24 fatta di decine di trasmissioni e contenuti. Mentre tutti alzano l’asticella cercando di far diventare chef gourmet anche i bambini, Ruffi l’abbassa posizionandola direttamente sotto terra: della serie, siamo arrivati ad un punto in cui bisogna necessariamente pigliarsi meno sul serio. E poi le sgangherate ricette di Ruffi pongono involontariamente sul tappeto tutta una serie di questioni che sono tutt’altro che risolte, che aleggiano insomma nel dibattito gastronomico: gli eccessi della ristorazione gourmet, le fisime da gastro-fissati su materie prime e prodotti, la scarsa attenzione che le ricette e le videoricette propinate su web pongono sulla disponibilità di tempo (“smettiamola fare preparazioni come 200 anni fa” spiega Ruffi insistendo che per fare un buon ragù non devono essere necessari più di tre minuti, mica tre ore), e ancora lo stupro cui è quotidianamente sottoposta la cucina italiana in migliaia di esercizi all’estero ma anche in patria. E insistendo: cosa è la tradizione? Perché ci siamo così morbosamente attaccati? Perché arriviamo al punto dal considerare sacrali, monumentali, intoccabili delle formule che rispetto alla nostra storia gastronomica sono nuove (la carbonara) o addirittura nuovissime (il tiramisù). Certo, l’alternativa di Ruffi porta diretti alla lavanda gastrica, ma questo è un altro livello di analisi. Dunque, forse, sotto al troll c’è di più.

Certo che per tenere botta video dopo video al personaggio che si è proposto di rappresentare, Ruffi deve essere proprio un attore navigato. Guardi e riguardi i filmati e pensi che la recita non può essere agevolissima, lo stile narrativo è di una autenticità spiccata. Allora ti fai venire il dubbio. E se invece di un progetto si trattasse solo di ragazzi che – in una cucina di un ristorante all’estero – si divertono nelle ore di stacco, abbozzando ricette che nessuno mai assaggerà (anche perché si rischia una brutta intossicazione)? O se addirittura si trattasse di un cuoco che crede davvero a quello che fa (in questo caso chiamare la neuro)? O se invece Chef Ruffi fosse un progetto per svelarci davvero come si lavora nella schiacciante maggioranza dei ristoranti, esclusi quelli più attenzionati da guide e appassionati?

Senza nutrire troppe speranze abbiamo azzardato un’intervista a Ruffi, ma tutti i dubbi sono rimasti e il mistero di Chef Ruffi non siamo riusciti a scioglierlo granché. Già ci consideriamo fortunati, dopo ore di lavoro, di aver reso il testo – viceversa assai ruffiano – qualcosa di per lo meno leggibile.

 

Maestro Ruffi iniziamo dagli inizi: che formazione hai avuto, da quale chef ti sei formato? Oppure sei autodidatta?

Diciamo che ho avuto la fortuna di cascare bene fin da giovanissimo, ho potuto incontrare maestri che erano innanzitutto appassionati dei sapori più che delle tradizioni o delle ricette popolari, loro hanno trasformato quell’iniziale curiosità per la cucina in vere e proprie “lezioni”, seppur non frequentavo una vera e propria scuola di cucina. A prescindere, reputo la possibilità di studiare una cosa nobilissima e da rispettare, ma lo stesso vale per chi sceglie di andare prettamente per i fatti suoi.

 

Quindi tu sei andato per i fatti tuoi…

L’importante è che questo porti impegno sacrificio e amore per quello che si fa…

 

Quindi?

Quindi sì, direi che sono un autodidatta…

 

In che zona d’Italia sei cresciuto?

Questa è una domanda alla quale, ogni volta che mi viene posta, trovo difficile rispondere, nonostante la sua semplice formulazione.

 

Non sembrava una domanda così difficile…

Viviamo in un’epoca in cui se alla domanda “dove sei nato/cresciuto” uno ci risponde “sui social” è assolutamente normale…

 

Vabè… Allora spiegami la tua filosofia di cucina.

La mia filosofia di cucina è come quella del grande Cannavacciuolo, rispecchia quella di un uomo, un ragazzo, dal temperamento forte e determinato. Chi dice una cosa con una canzone, con una poesia o con un film è un artista che coinvolge gli spettatori stuzzicandone i palati.

 

Uhm… Maestro, è proprio vero che nessuno si è lamentato?

Beh, verissimo!

 

Ma dici che non hai un ristorante. Ma allora chi è che non si è lamentato visto che non hai clienti?

Non ho un ristorante mio ancora, ma ho lavorato in molti anche se quasi sempre i proprietari si ingelosivano di me proprio per questo motivo: ero troppo bravo. La gente non si lamentava e loro forse avevano paura che gli rubassi i clienti…

 

Quanti anni fa hai iniziato la tua fulgida carriera Ruffi?

Ero giovanissimo: 17 anni fa.

 

Al momento in che città lavori?

Non vorrei rivelarlo per vari motivi, anche se presto ho idea di farmi vedere pubblicamente.

 

Ma perché tutti questi segreti?

Giudicando l’interesse che c’è su di me al momento non mi sento un semplice cuoco…

 

Ah giustamente. E cosa ti senti?

Mi viene da citare una grande frase che dice: “Mi sento come un libro aperto circondato da analfabeti”. Non mi riferisco a tutti ovviamente.

 

A proposito, pensi di fare a breve il tuo libro di ricette?

Proprio qualche giorno fa me l’hanno proposto.

 

Hai accettato immagino…

Per il momento vorrei prima farmi amare dalla gente, far capire la mia cucina e la mia tecnica e sono sicuro di riuscirci; e poi magari, in futuro, perché non pubblicare un mio libro?

 

Quale umiltà… Senti, oltre a Cannavacciuolo ovviamente, quali sono gli chef che consideri tuoi miti?

Massimo Bottura ed Heston Blumenthal, perché anche loro come me all’inizio sono stati molto criticati dagli analfabeti…

 

Ma nessuno di questi chef utilizzerebbe mai scadenti prodotti industriali come fai tu, Ruffi. E nessuno impiegherebbe tecniche che neppure alla mensa dell’ospedale. Come rispondi?

Si ma loro fanno una cucina diversa; io al momento sto cercando di insegnare come cucinare i veri piatti tradizionali velocemente ed economicamente, ma con un sapore unico. Poi più in là farò anche dei piatti che io penso possano meritare qualche stelletta…

 

Quindi il tuo obbiettivo, come sembra dai tuoi video, è quello di fare ricette che richiedano pochissimi minuti di tempo, giusto?

Si, ma con sapori incredibili…

 

Che rapporto hai col denaro?

Mi piacerebbe guadagnarne per fare beneficenza.

 

E invece ne guadagni poco?

Il giusto.

 

Torniamo al concetto di tempo. Ruffi è molto attento al tempo, ma non è meglio investire qualche minuto di più e non preparare pietanze con pasta o riso precotti ad esempio?

Io penso che la cosa importante è il gusto, e quando la gente non si lamenta si vede che c’è!

 

Forse non si lamentano perché appena mangiano le tue pietanze muoiono e non hanno neppure il tempo di lagnarsi; oppure non sono italiani e non conoscono il vero gusto, ad esempio, di un tiramisù e non sanno che senza mascarpone e con al suo posto la panna spray è tutta un’altra cosa. No?

Può essere; ma bisogna assaggiare, magari senza sapere, per giudicare. Senza sapere intendo alla cieca. Magari un giorno farò una degustazione così e tu sarai l’assaggiatore.

 

Più rischioso di una roulette russa. Parliamo di fornitori, di prodotti. Dove ti rifornisci?

Dipende dove mi trovo, ma non è importante: uso ingredienti semplici che si trovano dappertutto.

 

Qualcuno dice che il tuo è solo un progetto commerciale per sponsorizzare una marca di panna da cucina. In effetti fai sempre vedere il logo della famosa crema versatile…

Magari fosse vero! Comunque sto pensando di fare dei miei prodotti così con il ricavato potrò fare della beneficenza. Cosa ne pensi?

 

Prodotti a marchio Ruffi eh? Tipo quali?

Il mio marchio sulla panna e una fabbrica di frustini per amalgamare.

 

Perfetto. Quindi si dice “amalgamare”, non “malgamare”, giusto?

Eh no, si dice “malgamare”…

 

Nella tua pagina sei sommerso di critiche. Decine di migliaia di commenti indignati. Ti dispiace?

Ci saranno sempre degli Eschimesi pronti a dettar norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura. Insomma mi criticano perché sono gelosi. Gelosi di come cucino.

 

Gelosi di come cucini? Ma se hai appena pubblicato la videoricetta dell’arancino di riso senza metterci il riso pur avendolo preparato di tutto punto prima con tanto di curcuma (tanto secondo te è “uguale” allo zafferano)…

Eh, hai visto. Però la cosa ha creato dibattito. E per me la cucina è questo.

 

“Cucina” è un parolone Maestro… Qui siamo al surrealismo situazionista della miglior (peggior) specie. La prossima ricetta con cui ci farai star male?

Sono in preparazione una pasta e fagioli e qualche dolce tipico.

 

Per chi davvero volesse vedere i filmati: https://www.facebook.com/chefruffi/
Chi fosse interessato al finto consulente chef 

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