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homeless man cooking

Molti sono disoccupati che vogliono trasformare la passione per la cucina in un lavoro, altri valutanol’idea di mollare un impiego che li asfissia e che non restituisce nessuna soddisfazione personale. Vi capisco tutti e avete la mia più profonda e sincera solidarietà.

Se c’avete voglia di cambiare vita, regà, buttatevi a pesce. O a tonno.

Premesso che servano i requisiti professionali per svolgerla – o con diploma alberghiero, o avendo lavorato per almeno 2 anni consecutivi negli ultimi 5 nella ristorazione o frequentando il corso S.A.B. (ex-rec) con superamento dell’esame – ho tracciato un mio sistema senza sapere come lavorassero i miei omologhi. Anzi, più che un metodo, ho fissato delleregole-base, anche perché non credo ci sia una prassi standard, molto dipende anche dal tipo di cucina che si propone e, soprattutto, dal proprio carattere.

Lungi da me dal voler fare il guru, in base alla mia esperienza ho stabilito una sorta di personale decalogo professionale, che sono poi consigli che a qualcuno potrebbero interessare.

1) Il coltello è il miglior amico del cuoco – assemblati un set, il più completo possibile e portatelo sempre appresso come una chioccia coi pulcini. Non tutti, in casa, dispongono di lame taglienti (e fanno un po’ parte della tua carta d’identità)

2) Non risparmiare sulla materia prima – spendi anche di più per averla di alta qualità e garantire la sicurezza alimentare dei clienti (nonché attrezzati di borse termiche per mantenere la catena del freddo durante gli spostamenti): non somministrare ciò che tu non mangeresti. A molti questo punto potrà sembrare scontato ma v’assicuro che non lo è affatto (ahimè, anche nella ristorazione)

3) Affinare la capacità d’adattamento – non è una cosa semplice e richiede ordine e grande flessibilità mentale, soprattutto quando si cucina in monolocali con un solo piano di lavoro e si deve tirare fuori una cena di 3 portate per 8 persone con più di 20 passaggi, alcuni da svolgere in sincrono. Ma la vera difficoltà sta nell’ottenere gli stessi risultati con attrezzature diverse (leggasi pentole, padelle, forni, che non credo ti porterai da casa)

4) Studia, sempre – non intendo soltanto su ricettari e manuali di tecnica o corsi professionali ma anche su libri di antropologia e storia della cucina, un buon cuoco, a qualunque livello, deve essere prima di tutto un gastronomo. Senza tralasciare la parte fondamentale, anche più divertente: mangia ovunque ed esci dai sapori tradizionali. La Cultura Vera te la fai a tavola

5) Sviluppa una “tua cucina” – e per farlo ti basta rispondere alla seguente domanda: perché mai qualcuno dovrebbe chiamarmi per cucinare a casa sua? Ah, e che siano piatti riproducibili in ogni condizione: bello usare il roner, ma non tutti ne hanno uno in casa.

6) Fatti un kit di salvataggio – con cerotti, garze, disinfettante, crema per le ustioni e per i tagli. Ti farai male, prima o poi.

7) Mantieni la calma – non è professionale perdere la pazienza, sbattere e borbottare mentre ti muovi in una cucina altrui. Può succedere di andare in palla, l’imprevisto è dietro l’angolo ma i clienti ti osservano. Lucidità e concentrazione e vai che sei un treno

8) Ascolta le critiche – al termine della cena è sempre bene richiedere un parere sulla cena. Personalmente ho sempre incontrato clienti onesti e rispettosi e ogni appunto è stato oro colato. Insomma, umiltà e non prendersi mai troppo sul serio

9) Cura la comunicazione: mi rendo conto che sia una parte difficile per chi non è un comunicatore innato – e il 98% degli cuochi non lo è – ma è fondamentale per muoversi. Rassegnati, sei un brand, né più, né meno.

10) Non emulare nessuno, sia nei piatti sia in ciò che fai o scrivi sul web: che è un po’ un ampliamento del punto precedente. Le copie carbone hanno tempo limitato e tieni sempre a mente il titolo di quell’ep (cazzutto) dei Napalm Death: Leaders, not followers.

Normativa cucina a domicilio

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